4 proposte per una riforma radicale del settore musicale – di Tommaso Napoli
In molti oggi in Italia lamentano la mancanza di diffusione della pratica e dell’educazione musicale, la carenza di fondi, il dilagante sommerso che pervade la prassi musicale, stimato da una ricerca della Fondazione Centro Studi Doc sul lavoro irregolare nel settore musicale tra 1,8 miliardi e 2,7 miliardi di euro.
E il sistema musicale italiano appare impastato su se stesso: tante scuole medie musicali (i cui docenti però sono spesso demotivati), pochissimi licei, una quantità enorme di “istituti professionalizzanti“, i Conservatori (88, quasi quante le facoltà di Economia e di Medicina messe insieme).
Cosa fare per risolvere questi problemi?
Formuliamo 4 proposte concrete per una riforma radicale del settore musicale volte da un lato a garantire a tutti il diritto di esprimersi musicalmente, dall’altro a fermare la piaga del lavoro nero e incentivare l’emersione del talento.
1. Promulgare per tutti il diritto alla musica
La prima cosa da fare è introdurre a livello costituzionale il diritto di tutti (adulti e bambini) a potersi esprimere musicalmente in libertà, imparare diverse abilità e linguaggi musicali, interagire con la musica attraverso la partecipazione, l’ascolto, la creazione, l’informazione, in linea con i 5 Music Rights (IMC) e analogamente a quanto avvenuto in Svizzera, dove l’educazione musicale è un diritto riconosciuto a livello costituzionale.
Ed anche la legislazione e la regolazione dello spettacolo dal vivo – basata sull’errato assunto che ogni performance dal vivo è per sua natura di carattere professionale (salvo esenzioni da documentare) – andrebbe rivista, riconoscendo invece il diritto di tutti a sviluppare la loro arte e comunicare attraverso i media e con strutture adatte a disposizione.
COROLLARIO
Su queste nuove basi, per favorire le lezioni private ed eliminare nel contempo la piaga del lavoro nero, si potrebbero introdurre forme di detraibilità/deducibilità delle lezioni private di musica.
2. Favorire l’educazione musicale per tutti
A causa della frustrazione determinata dall’impostazione “professionalizzante” dei Conservatori italiani tantissimi rinunciano a suonare e a cercare modi per esercitare la propria passione per il solo motivo che non hanno possibilità di lavorare come musicisti. In altri casi diventano “docenti per delusione”, trasformando l’ora di musica delle medie in un ammortizzatore sociale per diplomati che si sono messi a insegnare perché “dovevano pagare le bollette e non trovano niente di meglio”.
Eppure in Francia l’AFO – Association Francaise des Orchestres – afferma che ci sono circa “2500 musicisti professionisti” impiegati stabilmente in orchestre professionali. In Italia c’è più o meno lo stesso numero di orchestre professionali (40) che in Francia (dove sono 38). Per quanto sia difficile da ammettere, illudere i giovani (anche solo i 20.000 studenti attualmente iscritti negli 88 Conservatori italiani) che fare il musicista – tra l’altro spesso identificato con la sola figura del solista – sia una professione alla portata di tutti è semplicemente irrealistico.
Proponiamo dunque la trasformazione degli 88 Conservatori di musica in licei musicali (che tra l’altro sono ancora pochissimi in Italia) volti alla formazione di una cultura musicale di base e diffusa (come indicato dalla riforma proposta a suo tempo da Orefice) e la parallela istituzione di 4-5 Università di musica “on top”, ed ex novo, con docenti di chiara fama, numero chiuso volto a fare una selezione dei migliori talenti, curriculum professionalizzanti e legame diretto con il mercato del lavoro.
In questo modo i Conservatori-liceo si assumerebbero la responsabilità di fornire un’educazione musicale di base, che andrà a costituire il bagaglio formativo di più larghi strati di cittadini, mentre le Università di musica quella di formare i futuri professionisti selezionando i migliori studenti e avviandoli al lavoro musicale.
3. Distinguere tra enti musicali professionali e amatoriali
Viviamo in un tempo in cui alla cultura viene dato poco valore e spesso le speranze di carriera dei migliori talenti sono ostacolate dai tanti che abbassano il livello qualitativo e il giusto prezzo che va tributato al sapere e alle competenze musicali. Produzioni low cost (come quelle recentemente viste al programma XFactor), orchestre amatoriali usate per risparmiare sul costo dei concerti, marchette pagate in nero, gruppi che si considerano “professionali”anche se raramente qualcuno viene pagato e spesso si va avanti con i rimborsi forfettari… tutti questi fattori costringono molti artisti di talento a cercare miglior fortuna all’estero o a rassegnarsi a non avere un mercato in cui esercitare la loro professionalità, perché saturo di atalenti inferiori che però, pretendendo meno soldi e offrendo a un pubblico sempre meno preparato uno spettacolo appena decente, ne impediscono il riconoscimento e la valorizzazione. In questo modo si determina quello che potremmo definire “dumping delle competenze musicali”.
Tuttavia, se l’intenzione non è solo quella di attribuendo la “colpa” a un sistema che “a differenza del passato” non “finanzia la musica” a pioggia, ma si vuole tutelare la musica senza svilirla, andrebbe fatta una distinzione formale tra enti di musica professionale e enti non professionali, con linee di finanziamento e criteri di accesso differenti, abolendo comunque per tutti il rimborso spese forfettario insieme a qualunque altra forma di mascheramento del lavoro nero: chi fa musica a livello professionale dovrebbe essere vincolato a pagamenti di regolari cachet, mentre chi lo fa a titolo amatoriale dovrebbe astenersi dal versare ai musicisti pseudo-compensi esentasse.
I gruppi a metà strada tra il professionale e l’amatoriale dovrebbero dunque fare una scelta: o comportarsi a tutti gli effetti come professionisti (con tutti gli adempimenti fiscali e gli oneri connessi, SIAE, ENPALS, cachet, ecc..) oppure conformarsi a uno standard amatoriale che proviamo a elaborare.
UN GRUPPO E’ AMATORIALE SE:
1. il suo scopo fondamentale è fare comunità attraverso la musica;
2. tutti i musicisti suonano per hobby, ma sono impegnati quotidianamente in un lavoro diverso da quello del musicista (insegnanti, avvocati, ingegneri, ecc…);
3. non si distribuiscono cachet, rimborsi spese forfettari o qualunque altra forma di denaro ai musicisti impiegati nei concerti e nelle prove;
4. la partecipazione è aperta a musicisti di diverso livello e diverse età, diplomati e non;
5. le esibizioni avvengono a titolo gratuito e l’orchestra si finanzia con le sue quote sociali, con donazioni ed erogazioni liberali, senza vendita di biglietti e\o abbonamenti;
6. l’orchestra non è una scuola né un ente produttivo: non è un modo per fare lezioni di gruppo riducendo i costi di insegnamento né un modo di produrre concerti low cost affiancando degli amatori ai professionisti;
7. la forma sociale è un’associazione senza fini di lucro e democratica di cui sono soci e gestori gli stessi musicisti, che sono parte attiva nelle decisioni e nell’organizzazione delle attività;
8. organizza corsi e masterclass per i suoi soci al solo fine di migliorare la qualità esecutiva dei suoi musicisti, non con fini commerciali;
9. si presenta sempre, formalmente e informalmente, come orchestra amatoriale e non-professionale ed è aperta a collaborare con altre realtà amatoriali italiane e straniere;
10. rendiconta in modo trasparente ogni spesa ai suoi membri, che partecipano attivamente alle relative decisioni.
4. Istituire un albo dei musicisti professionisti
Pur lodando idee come l’introduzione di un codice etico tra i musicisti (a questo link uno dei più interessanti, proposto dall’associazione www.notelegali.it), come per gli enti che si occupano di musica, anche per le singole persone – sebbene sia praticamente impossibile sapere quanti siano i musicisti professionisti perché quasi tutti i musicisti italiani si considerano professionisti (anche quando suonano senza essere pagati, hanno lavori diversi dal musicista e fanno magari solo una decina di concerti all’anno) – andrebbe creato un albo dei professionisti, proprio come avviene nello sport.
Se la musica funzionasse come lo sport – infatti – la legge alla quale fare riferimento sarebbe la n. 91 del 23/03/1981, che proprio utilizzando il sostantivo “rapporti” stabilisce in modo inequivocabile che essere professionisti (o dilettanti) non è una caratteristica individuale, ma una risultante di una relazione tra due parti. Ossia è il tipo di rapporto tra sportivo (o musicista) e società (o committente) che determina se una persona sta svolgendo una prestazione professionale oppure no:
E’ professionista sportivo solo colui il quale esercita attività sportiva a favore di una società sportiva a titolo oneroso con carattere di continuità, nell’ambito delle discipline regolamentate dal CONI che hanno riconosciuto il professionismo.
Tutti i non iscritti all’albo sarebbero dunque da considerarsi “dilettanti” o “amatori”, e come tali liberi di praticare la musica ma solo gratuitamente, come forma di hobby e cultura personale.
Cosa succederebbe se davvero parlassimo di musica come di sport?
Come nel calcio, più il pubblico degli appassionati domenicali è ampio e colto della materia, più il livello sarà alto per i professionisti e il mercato florido. Gli amatori sono infatti il pubblico, gli allievi, i primi sostenitori, il mercato dei musicisti professionisti e dell’arte e più le persone sostengono l’educazione musicale, più le persone suonano e hanno occasioni di suonare amatorialmente, più le sale da concerto saranno nutrite di pubblico colto e artisti di primaria importanza.